Il 27 gennaio è una data che ha assunto nell'arco dell'ultimo secolo una particolare importanza a livello globale. Non si tratta infatti di una ricorrenza qualsiasi, ma di una giornata dedicata al ricordo di quello che fu il concetto stesso dell'olocausto. Il 27 gennaio diventa così un inno alla Memoria, ma non solo con l’intento di piangere chi ne fu vittima, ma con quello di imprimere nelle generazioni future il memento di quello che fu uno dei punti più bassi della Storia umana.
Ricordare per cambiare, per imparare e per non fare più gli stessi errori. Ricordare per uscire dall'ignoranza. Oltre ogni confine, oltre ogni divisione, questa giornata è un punto di non ritorno della nostra coscienza umana. Un pesante macigno che ognuno di noi deve portare e fare suo.
Per questo, film e libri sull’argomento non sono mai semplici rappresentazioni dei fatti, ma hanno una diversa profondità, diventando uno specchio per noi stessi, guardandoci internamente, indietro e nel futuro.
Come naturale, molti partono da fonti dirette, testimonianze dirette di quegli avvenimenti, come i diari ad esempio. Quello di Anna Frank infatti è anzitutto una cinepresa su quegli avvenimenti, con le sue paure e il suo bisogno di speranza, che diventa un’eredità ancora più dura se si pensa al destino di questa ragazza, raccontato poi pagina per pagina nel 1959 dal film di George Stevens. Similarmente, il premio Nobel Elie Wiesel raccontò in “La notte” i momenti della sua deportazione, quando era solo un ragazzo, e il suo senso di smarrimento davanti all’umanità e alla religione, così come la scrittrice Edith Bruck in “Chi ti ama così”. Primo Levi è un’altra fonte di grande rilievo, non solo in “Se questo è un uomo”, ma anche in “La tregua”, dove, nel secondo, raccontò il suo ritorno a casa passando per le rovine dell’Europa martoriata dal conflitto, passano per la Russia, la Romania, l’Ungheria, l’Austria e l’Italia prima di tornare a casa a Torino.
Non solo biografie, anche le fonti dirette degli inviati e dei giornalisti offrono l’occasione per comprendere i primi impatti verso questo fenomeno, dai reportage dell’Armata Rossa a cura di Vasilij Grossman, pubblicati sulla rivista Znamja e nel 1944 sul libro “L'inferno di Treblinka”, sino al processo contro il gerarca Adolf Eichmann (1961-1962) davanti ai tribunali d’Israele (rapito in Argentina grazie ai servizi segreti della Mossad) e raccontati dall’inviata del New Yorker Hannah Arendt nel libro “La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme”.
La letteratura in merito offre ancora numerosi esempi tra biografie e romanzi, ma tra questi vogliamo ancora nominare “Il bambino col pigiama a righe” di John Boyne, raccontato poi al cinema nel 2008 da Mark Herman.
Il grande schermo è senz’altro un medium cruciale nella rappresentazione di alcuni aspetti di quel periodo; da “Il pianista” di Roman Polanski (vincitore di tre Premi Oscar nel 2003) a “La vita è bella” di Roberto Benigni (tre premi oscar nel 1999), guardando indietro poi a “Kapò” di Gillo Pontecorvo, datato 1959, e anch’esso Premio Oscar sino all’opera di Steven Spielberg “Schindler List” del 1993 incentrato sulle attività condotte da Oskar Schindler per salvare quanti più ebrei possibile.
Per continuare a preservare la memoria, la ricerca di nuovi mezzi in grado di proseguire l’opera si affaccia oggi anche su altri medium. A Milano ad esempio le pietre d’inciampo, ovvero i sanpietrini d’ottone dedicati alle vittime della deportazione, prendono una nuova vita anche online grazie alla pagina Instragram “Milanopietredinciampo”, che ha riproposto virtualmente 121 pietre, ovvero 121 vite perdute. Un’iniziativa volta a condividerne il ricordo anche sul frequentato social.
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